Sylvinho, c.t. Albania: «Per fortuna non c'è Mancini con l'Italia, è un maestro...» (2024)

diPaolo Tomaselli, inviato a Dortmund

Al City l’incontro con Mancio è stato decisivo per la seconda parte della sua carriera. Sabato sfida gli azzurri e un pezzo del suo passato

Sylvio Mendes de Campos Júnior, per tutti Sylvinho, è stato difensore dell’Arsenal e del Barcellona, con cui ha vinto due Champions. Poi al City l’incontro con Roberto Mancini è stato decisivo per la seconda parte della sua carriera. Sabato, da c.t. dell’Albania sfida gli azzurri e un pezzo del suo passato.
«Al sorteggio ho pensato: “Meno male che non c’è più Roberto in panchina...” (ride). Contro di lui sarebbe stato strano. Per noi sarà comunque durissima: da brasiliano l’Italia mi ha fatto piangere nel 1982 con Paolo Rossi. Ma la amo tanto».
Come è nato il rapporto con Mancini?
«Io stavo per smettere. Lui è arrivato a dicembre, mi ha chiesto dei consigli anche se giocavo poco. A fine stagione mi ha chiesto di rimanere nello staff, ha visto in me caratteristiche giuste per questo mestiere. Ma non ero pronto, volevo tornare in Brasile e lui lo ha capito. Nel dicembre 2014 però mi ha chiamato all’Inter e sono venuto a Milano».

Cosa le è rimasto?
«Tante cose. Milano è bellissima, ci è rimasta nel cuore. Mio figlio adesso gioca a calcio in una università americana, mia figlia sta finendo gli studi a Madrid: parlano perfettamente italiano».
Cosa ha dato e cosa ha ricevuto da Mancini?
«Ho ricevuto tanto, lui è un gestore strepitoso, conosce i calciatori, ha personalità, leadership, tranquillità. Io spero di avergli dato qualcosa».
Ha avuto tanti altri maestri, da Wenger a Tite, passando per Rijkaard e Guardiola. Una fortuna?
«Mi sono detto che se non divento un buon allenatore con questi maestri, è solo colpa mia! Ho imparato a prendere qualcosa da tutti, senza perdere la mia essenza».
La lezione di Wenger?
«Lui era il numero uno per la gestione, che andava ben oltre la rosa: intelligentissimo e — particolare non secondario — educatissimo».
Guardiola e Rijkaard?
«Pep vede dove non si può vedere, ha un’intelligenza totale: fa un calcio meraviglioso e pochi sottolineano quanto si difendono bene le sue squadre. Frank è più vicino ai calciatori: grazie a questo abbiamo vinto la Champions».
Con Tite invece è stato nello staff del Brasile.
«E da questa parte del campo capisci tutto il lavoro che c’è dietro: lui è instancabile».
Da cosa si deve riconoscere una squadra di Sylvinho?
«Dall’organizzazione: è fondamentale soprattutto se c’è poco tempo per lavorare, come in una Nazionale».
Avete vinto il girone di qualificazione, sorprendendo. Ma vi siete trovati in premio Italia, Spagna e Croazia.
«Non l’abbiamo presa male, vogliamo confrontarci coi migliori. Siamo una Nazionale giovane, alla seconda partecipazione dopo quella del 2016 con De Biasi. Siamo cresciuti molto e dobbiamo imparare tanto: vogliamo sfruttare con responsabilità questo momento. Siamo carichi».
L’Italia è favorita?
«È giusto che sia così, ma il calcio è pazzesco: può succedere di tutto».
L’Albania non è una Nazionale come le altre: perché?
«Perché in patria ci sono tre milioni di albanesi, che diventano una decina con quelli in giro per il mondo: cercare giocatori è un lavoro durissimo, ma stimolante. Con lo scouting ne abbiamo trovati in Corea, Turchia, Danimarca: guardiamo tanti video e quando è il momento di scegliere voliamo sul posto. Un po’ come fanno i club».

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Che squadra ne è nata?
«C’è un mix di esperti e di giovani promettenti come il terzino sinistro Mitaj, ventenne del Lokomotiv Mosca: tecnicamente è incredibile».
La cultura calcistica italiana è importante per voi?
«Tanto. Io stesso ho fatto un percorso di cinque anni a Coverciano con Ulivieri. E molti giocatori si sono formati da voi, acquisendo competenze tattiche, tecniche e atletiche. E l’Europeo è frutto anche dell’eredità lasciata da Reja e da Panucci come c.t.».
Gli albanesi con doppio passaporto scelgono sempre la maglia rossa: l’attaccamento può fare la differenza?
«Sì, c’è un senso di appartenenza unico: questi ragazzi giocano per i nonni, i padri, le madri. Nello spogliatoio quando ballano con la musica albanese scoppia il loro amore per le radici. Bellissimo».
Cosa si aspetta dall’Italia?
«Spalletti è uno dei migliori, mi aspetto un’Italia organizzatissima, dura, forte in transizione, che se serve difende in 11 e riparte con 7, molto tosta nell’uno contro uno, con la base dell’Inter che gioca a memoria».
Rispetto al 2021 ci sono molto cambiamenti.
«È un processo naturale. Mancano veterani come Bonucci e Chiellini, ma l’Italia ha esperienza, gamba, possesso, senso della competizione. C’è tutto. E in più c’è Barella, che ha fatto una stagione incredibile. Mi aspetto che giochi».
Chi vorrebbe allenare?
«C’è qualcuno che ho allenato: Mancini voleva far giocare un ragazzino delle giovanili largo a sinistra: Dimarco».
Asllani è il leader tecnico?
«È cresciuto tantissimo ed è forte nella testa. Ha capito che la vita non regala nulla».
Djimsiti è il leader morale?
«Sì, ha fatto una grande stagione con l’Atalanta. Ci dà la tranquillità necessaria».
Il Mancio l’ha sentito?
«Lo farò dopo l’Europeo».

12 giugno 2024

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